martedì 18 febbraio 2014

Alle porte del Senato c'eravamo tutt@

da DinamoPress





Il 19 Febbraio inizierà il processo che vede accusati 12 studenti della Sapienza di “attentato contro gli organi costituzionali”, reato che prevede una condanna fino a cinque anni di carcere. L’impianto accusatorio afferma che gli studenti indagati, insieme ad altre centinaia, avrebbero attaccato e messo a rischio un’istituzione dello Stato, macchiandosi così non solo di una colpa gravissima e meritando una pena esemplare.
Proviamo a contestuallizare gli eventi
Il 24 Novembre del 2010 un corteo di centinaia di persone attraversava la città di Roma in opposizione alla riforma Gelmini, riforma che segnava in maniera definitiva la dismissione dell’università e della ricerca pubblica, come ampiamente dimostrato dalla condizione drammatica in cui versano gli Atenei di questo Paese, proprio a causa di quella riforma e ai tagli che le si accompagnarono. Era l’inizio della crisi e già gridavamo “noi la crisi non la paghiamo”; era il tramonto dell’ultimo governo Berlusconi e la rappresentanza politica cominciava a mostrare la sua faccia più feroce, fatta di corruzione sistematica e sospensione della democrazia, in nome del pareggio di bilancio. Il 14 dicembre del 2010, mentre nell’aula del Parlamento andava in scena la compravendita di parlamentari, Piazza del Popolo esplodeva: andava in onda una rivolta generazionale, fatta da chi è sicuro che avrà meno diritti e sarà più povero dei propri genitori, condannato alla precarietà, espulso dal ciclo della formazione.
Quel giorno, con la determinazione di voler violare le porte dei Palazzi del potere, sempre più in crisi e delegittimati, le nostre ragioni sono esplose e hanno accesso la miccia della protesta in tutto il Paese: un movimento straordinario, che ha portato nelle piazze e nelle strade di decine di città italiane le ragioni di studenti, ricercatori, giovani precari, che non hanno abbassato la testa e non sono rimasti in silenzio.
Si prova ad usare un reato desueto e in odor di eversione per vendicarsi, ad anni di distanza, di chi ha condotto le proprie battaglie con coraggio e alla luce del sole: non c’è mai stata la volontà di nascondersi, perché ogni atto e ogni capitolo di quella protesta - come di tutte le lotte studentesche - hanno sempre trovato la forza nella legittimità costruita giorno dopo giorno nelle facoltà, nelle aule, nelle strade, nelle piazze.
Il tentativo chiaro è quello di criminalizzare, isolare e punire gli studenti “maggiormente responsabili”, comminando pene spropositate. Il dissenso non viene tollerato, e chi cerca di opporsi a provvedimenti distruttivi e dannosi viene perseguito e condannato. A confermare questa ipotesi vi sono decine di provvedimenti penali a carico di studenti e studentesse che dal 2008 hanno tentato di porre un argine alla guerra dichiarata da governi di centro-destra e centro-sinistra alla scuola, alla formazione, alla ricerca e alla cultura. Ma sotto attacco non ci sono solo le lotte studentesche: dalle lotte No Tav al movimento per il diritto all’abitare - i cui attivisti sono stati duramente colpiti a Roma e a Napoli solo qualche giorno fa – chiunque manifesti il dissenso e lotti per il reddito e i diritti è soggetto ad una feroce ed indiscriminata repressione, che si avvale di strumenti infami, quali la fattispecie di reato di devastazione e saccheggio, le sanzioni amministrative, l’accusa di terrorismo.
Per questo ci sentiamo di dire che il 24 Novembre, ad opporci alla distruzione dell’università che veniva discussa nell’aula della Camera, c’eravamo tutti.

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