venerdì 21 febbraio 2014

1 MARZO MIGRANTE

Il collettivo Uni.on aderisce ad 1M corteo migrante

Da molti anni le politiche comunitarie di governo dei flussi migratori, basate su percorsi di esclusione e confinamento della mobilità, creano sui territori le condizioni favorevoli all’instaurarsi di fenomeni di discriminazione e sfruttamento. Questi fenomeni trovano terreno fertile nella crisi economica e finanziaria e vengono puntualmente cavalcati da movimenti razzisti e xenofobi in cerca di facili consensi.
La Carta di Lampedusa è il patto d’intenti costruito dal basso, frutto del confronto tra le diverse realtà di movimento e dell’associazionismo che in prima persona si occupano di migrazioni. Questo documento afferma che è indispensabile una radicale e tempestiva trasformazione dei rapporti sociali, economici, politici, culturali e giuridici, inoltre riconosce come indispensabile la costruzione di un’alternativa fondata sulla libertà e sulle possibilità di vita di tutte e tutti senza alcuna preclusione basata sulla nazionalità, cittadinanza e/o luogo di nascita.
A Parma, come in altre città, assistiamo quotidianamente a ripetuti attacchi al diritto stesso di esistere: alla povertà e all’emergenza sociale si risponde con sfratti, licenziamenti, sgomberi e con il diniego ad acquisire la residenza per chi, in condizione di conclamata necessità, si vede costretto ad occupare alloggi abbandonati per sopperire alle mancanze delle istituzioni che, intrappolate nella morsa dell’austerity, non possono garantire il sistema di welfare.
Parma è anche la sede di Pizzarotti S.p.A., costruttore della struttura del CARA di Mineo. Il CARA di Mineo, che dovrebbe essere un centro di accoglienza temporanea per i richiedenti asilo in attesa di valutazione, è in realtà una mega struttura segregazionista dove, in condizioni disumane, sono rinchiusi circa 4000 migranti, il doppio della sua capienza. Grazie all’istituzione del cara, il costruttore Parmense si è inserito in un sistema che garantisce introiti legati all’affitto multimilionario e al business della gestione del complesso-lager disperso nelle campagne siciliane. Introiti legati ai fondi stanziati per l’emergenza nord africa e che, sulla pelle dei migranti, ingrassano le tasche di chi specula sui territori e sui lavoratori.
Questa logica assurda dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della discriminazione di stato non ci appartiene e non può essere assunta a principio fondante né dell’Europa, né di qualsivoglia società che si dica civile e si basi sul diritto.
Solamente proponendo la solidarietà e l’organizzazione fra chi vive questa realtà e chi la vuole cambiare potremo costruire, dal basso, una società più giusta.

Il primo Marzo 2014, scenderemo in piazza come individui per affermare i principi della carta di Lampedusa; per rivendicare diritti inalienabili, che non dipendono dal colore della pelle, dal paese di nascita o dal possesso di un pezzo di carta; libertà di movimento per tutti, il diritto di scegliere e ricercare una vita migliore, il diritto ad un’accoglienza degna.
I responsabili del degrado e della crisi sono coloro che speculano sulle nostre vite, che delocalizzano le produzioni, dimenticando ogni forma di responsabilità sociale d’impresa, che cavalcano il populismo e il razzismo, indicando nel “diverso” e nello “straniero” il nemico da combattere.
Per questo ogni giorno ci opponiamo ai meccanismi della rendita sui beni essenziali, bloccando gli sfratti di chi, incolpevolmente, non può più pagare un affitto, occupando immobili tenuti sfitti in nome di assassine leggi di mercato, rivendicando reddito e dignità per tutti.
Per questo siamo da sempre contro leggi vergognose come la Bossi-Fini e contro le formazioni politiche che la sostengono.
Per questo denunciamo che i CIE siano lager, luoghi di sevizia e tortura dove, ogni giorno, muore il senso stesso di umanità e per questo chiediamo che vengano immediatamente chiusi.
Per questo ci opponiamo ad ogni forma di razzismo, quotidiano e di stato.

martedì 18 febbraio 2014

Alle porte del Senato c'eravamo tutt@

da DinamoPress





Il 19 Febbraio inizierà il processo che vede accusati 12 studenti della Sapienza di “attentato contro gli organi costituzionali”, reato che prevede una condanna fino a cinque anni di carcere. L’impianto accusatorio afferma che gli studenti indagati, insieme ad altre centinaia, avrebbero attaccato e messo a rischio un’istituzione dello Stato, macchiandosi così non solo di una colpa gravissima e meritando una pena esemplare.
Proviamo a contestuallizare gli eventi
Il 24 Novembre del 2010 un corteo di centinaia di persone attraversava la città di Roma in opposizione alla riforma Gelmini, riforma che segnava in maniera definitiva la dismissione dell’università e della ricerca pubblica, come ampiamente dimostrato dalla condizione drammatica in cui versano gli Atenei di questo Paese, proprio a causa di quella riforma e ai tagli che le si accompagnarono. Era l’inizio della crisi e già gridavamo “noi la crisi non la paghiamo”; era il tramonto dell’ultimo governo Berlusconi e la rappresentanza politica cominciava a mostrare la sua faccia più feroce, fatta di corruzione sistematica e sospensione della democrazia, in nome del pareggio di bilancio. Il 14 dicembre del 2010, mentre nell’aula del Parlamento andava in scena la compravendita di parlamentari, Piazza del Popolo esplodeva: andava in onda una rivolta generazionale, fatta da chi è sicuro che avrà meno diritti e sarà più povero dei propri genitori, condannato alla precarietà, espulso dal ciclo della formazione.
Quel giorno, con la determinazione di voler violare le porte dei Palazzi del potere, sempre più in crisi e delegittimati, le nostre ragioni sono esplose e hanno accesso la miccia della protesta in tutto il Paese: un movimento straordinario, che ha portato nelle piazze e nelle strade di decine di città italiane le ragioni di studenti, ricercatori, giovani precari, che non hanno abbassato la testa e non sono rimasti in silenzio.
Si prova ad usare un reato desueto e in odor di eversione per vendicarsi, ad anni di distanza, di chi ha condotto le proprie battaglie con coraggio e alla luce del sole: non c’è mai stata la volontà di nascondersi, perché ogni atto e ogni capitolo di quella protesta - come di tutte le lotte studentesche - hanno sempre trovato la forza nella legittimità costruita giorno dopo giorno nelle facoltà, nelle aule, nelle strade, nelle piazze.
Il tentativo chiaro è quello di criminalizzare, isolare e punire gli studenti “maggiormente responsabili”, comminando pene spropositate. Il dissenso non viene tollerato, e chi cerca di opporsi a provvedimenti distruttivi e dannosi viene perseguito e condannato. A confermare questa ipotesi vi sono decine di provvedimenti penali a carico di studenti e studentesse che dal 2008 hanno tentato di porre un argine alla guerra dichiarata da governi di centro-destra e centro-sinistra alla scuola, alla formazione, alla ricerca e alla cultura. Ma sotto attacco non ci sono solo le lotte studentesche: dalle lotte No Tav al movimento per il diritto all’abitare - i cui attivisti sono stati duramente colpiti a Roma e a Napoli solo qualche giorno fa – chiunque manifesti il dissenso e lotti per il reddito e i diritti è soggetto ad una feroce ed indiscriminata repressione, che si avvale di strumenti infami, quali la fattispecie di reato di devastazione e saccheggio, le sanzioni amministrative, l’accusa di terrorismo.
Per questo ci sentiamo di dire che il 24 Novembre, ad opporci alla distruzione dell’università che veniva discussa nell’aula della Camera, c’eravamo tutti.